Villa Lavezzola Del Bene ad Avesa: un esempio cinquecentesco del sistema a portico e loggia

Abstract

Il tema della nascita e dello sviluppo delle ville a portico-loggia, sembra coinvolgere in particolare l’edilizia signorile quattro e cinquecentesca della Valpolicella. Ma anche villa Lavezzola Del Bene ad Avesa, posta tra la Valpolicella e Verona, appartiene a questa tipologia costruttiva, sebbene sia oggi difficilmente riconoscibile a causa dei rifacimenti ottocenteschi. Attraverso il confronto tra le strutture delle villa e la documentazione archivistica, si ricostruisce la genesi del complesso, riorganizzato da Alberto Lavezzola alla metà del XVI secolo, con una facciata con porticato e loggia a tre arcate, evoluzione tardo cinquecentesca del sistema portico-loggia, caratterizzata dall’influsso sanmicheliano. Si ipotizza che a dirigere la costruzione fosse stato chiamato uno dei proti attivi nel cantiere del palazzo Lavezzola di Verona, progettato da Michele Sanmicheli, e che dunque sia stato questo il modello per altre ville del territorio. Alla morte di Alberto Lavezzola nel 1582 la villa passò ai Del Bene, che oltre a realizzarvi un grandioso scalone, affidandone l’ideazione a Vincenzo Scamozzi, la unirono al confinante monastero del Camaldolino, costituendo alla fine del secolo un grandioso complesso formato dalla villa già esistente, da edifici rustici con stalle e mulini, dalla stessa chiesa di Camaldola e soprattutto da un giardino monumentale, per un’estensione complessiva di ben 20 campi, comprendente tre cedrare, vivai ittici, una peschiera, una grotta, un belvedere e un bosco. L’attuale configurazione si deve a successivi proprietari, la famiglia Calabi, che nel 1810 procedettero a una radicale trasformazione.