Selci «strane» e «futuro archeologico»: falsi, simulazioni commerciali o sperimentazioni educative?
Abstract
A partire da una punta di freccia appartenente alla collezione dei ritrovamenti di Stefano De Stefani a Cà de Per (Sant’Anna d’Alfaedo) nel 1884 – che si ipotizza appartenga alle cosiddette “selci strane”, ovvero manufatti realizzati dagli stessi scavatori assoldati in quel tempo – e da dati etnografici, si suggerisce di guardare al fenomeno delle selci strane non come a un losco raggiro di montanari falsificatori ma come al logico effetto di una diffusa propensione a monetizzare i reperti preistorici, combinata all’essere in Lessinia ancora attivi gli ultimi artigiani delle pietre focaie per uso militare e domestico (acciarini). A questo proposito viene fatto un parallelo con la popolazione dei Lacandones (foresta pluviale del Guatemala) o dai Nativi americani che vendono repliche non funzionali di selci lavorate ai turisti. A livello locale ci si interroga inoltre sul rischio della disseminazione incontrollata di manufatti realizzati oggigiorno dall’archeologica sperimentale, che tende pure a trasformarsi in strumento turistico, e dunque la necessità di condividere dei princìpi di correttezza nel campo delle ricostruzioni archeologiche per la divulgazione e la didattica.
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