Villa Nichesola Mocenigo a Ponton di Sant'Ambrogio
Abstract
Villa Nichesola a Ponton è stata segnalata da Scipione Maffei nella Verona Illustrata del 1732 in virtù degli affreschi di Paolo Farinati e delle sue collezioni antiquarie. La costruzione della villa e la sua decorazione si deve a Fabio Nichesola, personalità rilevante nell'ambiente giuridico veronese del secondo Cinquecento. I Nichesola erano radicati a Ponton a partire dalla fine del Trecento, presenza testimoniata in situ dalle fondazioni di almeno tre nuclei originari preesistenti e da una campana datata 1501. Fabio dovrebbe essere intervenuto sugli immobili dopo la morte del fratello Alessandro, occorsa tra il 1578 e il 1583. L'elemento fondante della riqualificazione cui è stata sottoposta la corte quadrangolare è il corpo padronale contrassegnato da un portico a sei arcate sostenute da pilatri rustici, sotto il quale due porte danno accesso ai quattro vani interni disposti secondo un'infilata prospettiva. Manca il salone tipico della tradizione veneta e l'articolazione degli spazi, piuttosto che dialogare con la natura circostante, predilige l'isolamento di un universo artificiale. Tale impostazione emerge con chiarezza nell'impostazione del piccolo giardino terrazzato, che assume la connotazione di un giardino segreto. La grotta appare oggi nella veste conferitagli nel Settecento dai Mocenigo ed è stato rimodellato secondo lo stile francese; alla stessa fase va collocata l'erezione del coronamento in facciata.
La vocazione di villa Nichesola a divenire un microcosmo con venature iniziatiche è data dall'iscrizione in caratteri greci sul portale d'accesso alla corte: "Salve. Io, l'Oblio, ti accolgo". Un invito a rivivere e perdersi nell'atmosfera dell'antichità classica, secondo modalità che erano già state esperite a villa Della Torre, a sua volta derivata dalle sperimentazioni di Giulio Romano a palazzo Tè. Il fautore del programma iconografico va individuato in Cesare Nichesola, figlio di Fabio, collezionista di monete ed epigrafi antiche. Agli affreschi di Paolo Farinati era affidato il compito di circostanziare una classicità visionaria, popolata all'esterno da ritratti di antichi imperatori. Passando all'interno, nella sala Rossa e nella sala Verde il pittore raffigura miti derivati dalle Metamorfosi di Ovidio, che vanno dalle origini del mondo fino all'età romana. Nella sala delle Dee, la più grande delle tre, un finto paramento architettonico ritmato da colonne ioniche inquadra finte statue di divinità pagane; la presenza di strumenti musicali fa pensare che la sala fosse destinata a piccoli concerti. All'inizio e alla fine del ciclo pittorico, che si può datare verso la metà degli anni '90, campeggiano due raffigurazioni di Mercurio, divinità protettrice degli avvocati. La paternità architettonica del complesso non è chiara: potrebbe coinvolgere il medesimo Paolo Farinati oppure invocare l'intervento di Domenico Curtoni, la personalità più in rilievo dell'architettura veronese di fine Cinquecento. L'impianto, più che a alle ville di campagna, sembra guardare alle residenze patrizie urbane dotate di una corte, quali i palazzi Della Torre di San Fermo, Murari-Bocca-Trezza di San Nazaro, Verità-Montanari e Giusti del Giardino. L'affinità di questi modelli corrisponde ad una contiguità di frequentazione dei loro proprietari, radunati nel consesso dell'Accademia Filarmonica di cui Fabio Nichesola divenne "Padre" nel 1596.
Cesare Nichesola fu l'animatore di un vivace circolo culturale che si riuniva nella villa di Ponton, dove aveva radunato una preziosa raccolta di libri rari e manoscritti, di quadri, disegni, medaglie, epigrafi e reperti scultorei. Cesare si era dedicato con assiduità alla cura del giardino, che comprendeva due viridari, arricchiti da essenze che provenivano anche dall'Orto Botanico di Padova e dall'isola di Candia, tra le quali erano poste le epigrafi. Il patrimonio venne disperso dopo la morte di Cesare, che lasciò l'eredità gravata da debiti. Subito dopo la morte il conte Giacomo Giusti si premurò di trasportare le epigrafi nel cortile dell'Accademia Filarmonica. Dopo vari passaggi di mano l'intera proporietà venne acquistata dal patrizio veneziano Sebastiano Michiel. A partire dal 1683 i beni passarono ai nipoti per parte della figlia, maritata al procuratore Piero Mocenigo. La ricca famiglia veneziana frequentò di rado la villa di Ponton, prediligendo proprietà più vicine a Venezia. Verso la fine del Settecento titolare della proprietà fu Sebastiano Mocenigo, ambasciatore veneto in Francia, responsabile della ristrutturazione "alla francese" della grotta. Nel 1795 Sebastiano lasciò in usufrutto i beni di Ponton al figlio Alvise I, che si occupò subito di rendere più redditizia la terra presentando una supplica per erigere due rote idrovore sull'Adige; a tale scopo incaricò l'architetto Luigi Trezza di redigere una mappa accurata delle proprietà. Il progetto non ebbe seguito a causa degli sconvolgimenti politici conseguenti al dominio napoleonico. Il baricentro degli interessi familiari si spostò ad Alvisopoli, nei pressi di Portogruaro, dove Alvise I Mocenigo promosse un innovativo insediamento industriale ed agrario. Di conseguenza la proprietà di Ponton (assieme agli altri possedimenti veronesi) venne ceduta nel 1798 a Lorenzo Butturini. Nel 1848 la villa subì il saccheggio e gli atti vandalici dei soldati austriaci che scendevano da Trento, documentato da un puntiglioso inventario.
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